La responsabilità degli amministratori di S.p.A.

17 Marzo 2018 diritto societario 0

Natura giuridica della prestazione lavorativa fonte di responsabilità

Ai sensi dell’art. 2380bis c.c. gli amministratori sono coloro che gestiscono la società per azioni e compiono le operazioni necessarie per la realizzazione dell’oggetto sociale.
L’organo di amministrazione può essere organizzato: 1) secondo il modello monistico (di matrice anglosassone) disciplinato dall’art. 2409-sexiedecies e successivi del codice civile, 2) secondo il modello dualistico (di derivazione tedesca) disciplinato dagli art. 2409-octies e seguenti, o, come avviene più di consueto, 3) secondo il modello tradizionale.
La differenza, tra questi modelli, è data dalla diversa denominazione ed organizzazione degli organi di gestione e di controllo della società.
In primo luogo, occorre sottolineare che, diversamente da quanto avviene nelle società di persone, nelle società di capitali gli amministratori possono non essere (ed in genere non sono) soci della società (sul punto veggasi l’art. 2380 bis II comma).
Si tratta, invece, molto spesso di soggetti esterni alla società, che esercitano le loro funzioni in gruppo: il cosiddetto consiglio di amministrazione (il quale elegge al suo interno un Presidente, che ne coordina i lavori e provvede alle comunicazioni interne) ed i cui componenti possono agire congiuntamente o disgiuntamente.
Per alcune materie, inoltre, il consiglio di amministrazione può prevedere una delega di funzioni ad un gruppo ristretto (comitato esecutivo) o ad un singolo amministratore, che agisce sulla base dei poteri conferitiglio dal consiglio (amministratore delegato).
Tutti questi soggetti vengono retribuiti per il lavoro svolto o per i risultati raggiunti, il che ha portato molto spesso gli addetti ai lavori ad interrogarsi circa la natura della prestazione lavorativa svolta dagli amministratori: si tratta di lavoro autonomo, parasubordinato o subordinato?
Sino alla recente pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione sul punto (SS.UU. 1545/2017)1, non è stata molto chiara la natura della prestazione svolta dagli amministratori: dottrina e giurisprudenza, infatti, si sono mostrate oscillanti nel qualificare gli amministratori dapprima come lavoratori autonomi, poi parasubordinati, poi subordinati, facendo leva su diverse teorie, le più note delle quali sono la teoria contrattualistica e quella dell’immedesimazione organica.

La prima fa riferimento al contratto che lega l’amministratore all’impresa. Essa prevede la presenza di due “parti contrattuali” autonome, distinte e portatrici di interessi diversi, che, se contrapposti, potrebbero addirittura dar luogo ad una situazione di “conflitto d’interessi”, per il quale è prevista un’apposita disciplina legislativa (art. 2373, 2475 ter o, più in generale art. 1394 e 1395 c.c.).
La seconda (sulla base della quale manca qualsiasi elemento di dualità tra amministratore e società) prevede l’immedesimazione del’amministratore nell’organo della società che rappresenta, di cui cura gli interessi, senza alcun rapporto negoziale interno fonte di reciproci diritti ed obblighi.
E’ quindi ovvio che, mentre la prima teoria apre la strada ad un rapporto di natura parasubordinata, la seconda lo esclude in radice.

La teoria contrattualistica (che fa derivare i poteri dell’amministratore non dalla legge o dallo statuto, ma da un rapporto negoziale tra le parti), si divide in cinque orientamenti diversi: 1) la tesi di coloro che hanno ravvisato tra le parti un contratto atipico, con elementi riconducibili di volta in volta a contratti diversi (mandato, contratto d’opera, lavoro subordinato etc…); 2) l’antica teoria che assimila la figura dell’amministratore a quella del mandatario (in particolare con riferimento alla diligenza del medesimo); 3) la teoria più isolata che vede l’amministratore come un lavoratore subordinato della società, la quale può nominarlo e revocarlo attraverso l’assemblea, controllarlo attraverso gli organi di gestione e controllo e che prevede il diritto dell’ammnistratore al compenso ed il dovere di fedeltà dell’ammnistratore nei confronti della società (e che trova la sua massima espressione nel dovere di non concorrenza ex art. 2390 c.c.); 4) la teoria che vede nell’amministratore un prestatore d’opera della società, che lavora per incrementarne i profitti e percepisce un compenso in ragione del tempo e dell’impegno profuso e, infine 5) la teoria che il conduce la prestazione dell’amministratore nell’ambito della parasubordinazione, sulla scia della nota sentenza della Cassazione a Sezioni Unite del 1994 (SS.UU. 14 dicembre 1994 n. 10680), la cui prestazione lavorativa è determinata nei limiti della legge e dello statuto della società.

La più recente giurisprudenza, pur dando atto di tutte queste diverse posizioni, ha però accolto la teoria dell’immedesimazione organica tra persona ed ente, stabilendo che l’amministratore di una società di azioni è legato alla medesima da un rapporto societario, che, in quanto tale ed in assenza del vincolo della coordinazione, non è compreso tra quelli previsti dall’art. 409 c.p.c.
Pertanto il compenso che gli spetta è interamente pignorabile.
Ne consegue, pertanto, che l’amministratore di società è un lavoratore autonomo, che rappresenta la società in virtù dell’immedesimazione organica e che è sempre personalente responsabile delle decisioni che prende in danno alla medesima, senza averne i poteri o non esercitandoli nel modo dovuto.

Profili di responsabilità ascrivibili agli amministratori nell’esercizio delle loro funzioni: responsabilità civile, penale ed amministrativa

Gli amministratori sono soggetti a varie forme di responsabilità per gli atti compiuti in nome e per conto della società: pertanto, qualora essi cagionino dei danni (nei confronti della società o dei terzi), sono chiamati a risarcirli.
Per quanto attiene alla responsabilità nei confronti dei terzi si fa normalmente riferimento ai creditori della società, che potrebbero vedere lesi i loro diritti od i loro interessi in ragione di atti compiuti in modo poco diligente (se non addirittura scellerato) dagli amministratori, che cagionino loro un danno economico.
La responsabilità del singolo amministratore nei confronti della società può estrinsecarsi sia in atti compiuti al di fuori dei limiti della delega concessa dal consiglio di amministrazione (o in frode alla legge art. 2626 e successivi c.c.) che nell’omissione di atti dovuti (art. 2629-bis e seguenti c.c.).
Nel primo caso l’amministratore risponde personalmente ex art. 1399 c.c. nei confronti dei terzi degli atti compiuti senza averne i poteri o eccedendo i limiti del potere conferitogli: egli è infatti tenuto a risarcire il cosiddetto “interesse negativo” ossia quello che il terzo aveva a non essere coinvolto in trattative e spese inutili ma non il c.d. “interesse positivo” che il terzo contraente aveva alla esecuzione del contratto.
Nel secondo caso caso di controversia il giudice deve compiere una valutazione sulla condotta dell’amministratore mettendosi al suo posto quando l’atto fu compiuto, ed immaginare la condotta che avrebbe tenuto “l’agente modello” nelle stesse circostanze.

Lo stesso discorso fatto per la responsabilità civile degli ammnistratori vale anche per la responsabilità penale: la legge prevede, infatti, la salvaguardia della società qualora i suoi gestori o delegati agiscano nell’interesse esclusivo proprio o di terzi all’insaputa della società. In quel caso solo gli amministratori risponderanno personalmente del reato commesso (art. 5 della legge 231/2001).
Per quanto riguarda i reati propri degli amministratori, essi sono contenuti negli art. 2626 e seguenti del codice civile e riguardano atti compiuti dai gestori nell’esercizio delle proprie funzioni ma in violazione della legge, come, ad esempio: l’indebita restituzione dei conferimenti ai soci, l’illegale ripartizione degli utili e delle riserve, le illecite operazioni sulle azioni o sulle quote sociali e le operazioni compiute in pregiudizio dei creditori. Vi sono poi i reati commessi mediante omissione: come l’omessa comunicazione del conflitto d’interessi, l’omessa comunicazione di denunce, comunicazioni e depositi e l’omessa convocazione dell’assemblea.
Tali reati, oltre ad essere fonte di un’obbligazione risarcitoria nei confronti della società o del terzo che ha subito il danno, prevedono anche la punizione del reao attraverso sanzioni detentive o pecuniarie.

La responsabilità penale della società riguarda, quindi, solo i reati che la società commette nell’esercizio delle sue funzioni: se, infatti, precedentemente alla legge 231/2001 (responsabilità amministrativa delle società e degli enti) si riteneva che le società non potessero delinquere, ad oggi la situazione è cambiata e le persone giuridiche non solo possono delinquere, ma è addirittura possibile stabilire la responsabilità dei singoli organi di gestione, sulla base della delega delle funzioni (art. 6 della legge 231/2001).
La nuova disciplina dei reati commessi per violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro è un chiaro esempio di come opera la delega delle funzioni: essa prevede, infatti, una serie di deleghe delle funzioni di vigilanza sul singolo lavoratore, a partire dalle posizioni apicali dell’impresa sino a giungere al superiore più prossimo al singolo lavoratore.
La delega di funzioni è importantissima a livello penale, in quanto la società può andare esente da responsabilità quando prova che: a) l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; b) è stata attuata una corretta vigilanza sul funzionamento e l’osservanza dei modelli; c) le persone che hanno commesso il reato vi sono riuscite per aver eluso fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione; d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organo di vigilanza.

Per quanto attiene alle fattispecie di reati che la società può commettere, oltre ai reati comuni contenuti nel codice penale e nel codice civile (art. 2621 e successivi del codice civile), sono previsti anche altri illeciti previsti dalle leggi speciali come, ad esempio, i reati ambientali, fallimentari e tributari. Un discorso a parte deve farsi, poi, per le società a partecipazione pubblica, alle quali si applicano anche le norme di diritto amministrativo e quelle previste per i reati contro la pubblica amministrazione.

  1. Si tratta, in realtà, di una pronuncia che nasceva per risolvere il problema dei limiti di pignorabilità degli stipendi degli amministratori, ma che, in via incidentale ha risolto il problema della natura giuridica del rapporto tra amministratori e società sotto il profilo della prestaazione lavorativa svolta, per comprendere se essa rientrasse o no tra quelle previste dall’art. 409 c.p.c., perché, in caso affermativo, lo stipendio degli amministratori avrebbe potuto essere pignorato solo nei limiti di 1/5 previsto dall’art. 545 c.p.c., e, in caso negativo, per intero.