Sì al gratuito patrocinio in sede penale quando il reddito è zero

12 Luglio 2018 diritto penale 0

La quarta sezione della Corte di Cassazione Penale, con la sentenza n. 10406/2018, si è pronunciata su una delle questioni maggiormente spinose in tema di gratuito patrocinio: il rigetto della relativa istanza quando il reddito del dichiarante è pari a zero.

In genere ciò avviene perché ai giudici non pare credibile che l’istante non abbia neppure i mezzi per poter sopravvivere 1
e, quando egli riveste la qualifica di imputato di un procedimento penale per reati contro il patrimonio, accogliere la sua richiesta di patrocinio diventa quasi impossibile.
Il caso esaminato dalla Cassazione, infatti, riguardava il rigetto, da parte del Presidente di Sezione del Tribunale di Pescara, dell’opposizione ad un decreto di rigetto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato da parte del Tribunale in funzione monocratica, con la seguente motivazione “la dichiarazione di reddito pari a zero, presentata dall’istante deve ritenersi di potenziale inganno, in assenza di indicazioni relative agli inevitabili aiuti ricevuti da terzi per far fronte alle esigenze di vita, anche avuto riguardo agli orientamenti di legittimità, secondo cui la totale assenza di reddito deve considerarsi assolutamente inverosimile“.

Nell’impugnare tale provvedimento, il difensore dell’istante ha, però, correttamente rilevato che la normativa in tema di patrocinio a spese dello Stato non prevede l’esclusione dal beneficio per coloro che sono del tutto privi di redditi, e che, anzi, ciò finirebbe, addiritura, col far venir meno le finalità dell’istituto.

Egli, poi, sottolinea che ,se il Giudice avesse dubitato della veridicità della dichiarazione del richiedente, ben avrebbe potuto trasmettere l’istanza, unitamente alla relativa dichiarazione sostitutiva, alla Guardia di finanza per le necessarie verifiche (art. 96 comma 1 e 2 D.P.R. 115/2002).

Infine, l’inesistenza di condanne o, come nel caso di specie, l’esistenza di un solo reato contro il patrimonio, non può giustificare l’assunto secondo cui la ricorrente vivrebbe del provento di attività illecite.

La Cassazione dopo aver stabilito la fondatezza nel merito delle doglianze del difensore, ha espresso i seguenti principi di diritto: 1) se il Giudice potesse fondare il suo convincimento solo sulla base di una presunzione d’inverosimiglianza della dichiarazione di non possedere alcun reddito, verrebbe meno l’effettività del principio di solidarietà, come previsto dall’art. 24 comma III della Costituzione e posto alla base dell’istituto del patrocinio a spese dello Stato; 2) invero, in caso di dubbio, al giudice sono conferiti specifici poteri processuali di accertamento del redditi dell’istante e della loro provenienza, come indicati dall’art. 96 del D.P.R. 115/2002.

Per quanto attiene al primo motivo, gli Ermellini ritengono, infatti, che la semplice affermazione dell’assenza totale di reddito non è affatto di per sé un “potenziale inganno”, ma una situazione, seppure non comune, certamente possibile, ma anzi, che essa sia la più grave delle situazioni tutelate dalla normativa che assicura la difesa dei non abbienti.

Inoltre, sebbene, per poter richiedere il beneficio, occorra allegare la dichiarazione dei redditi, esistono alcune particolari situazioni in cui il soggetto è esonerato dal presentarla, e, in quei casi, è sufficiente l’autocertificazione dell’istante per provare l’assenza di redditi al di sopra dei limiti previsti per l’ammissione al beneficio.

Detta autodichiarazione, poi, ha pieno valore probatorio e il giudice non può entrare nel merito della medesima per valutarne l’attendibilità, dovendosi limitare alla verifica dei redditi esposti e concedere in base ad essi il beneficio, il quale potrà essere revocato solo a seguito dell’analisi negativa effettuata dall’ufficio finanziario, cui il giudice
deve trasmettere copia dell’istanza con l’autocertificazione e la documentazione allegata (Cass. Sez. 4, n. 53356 del 27/09/2016 – dep. 15/12/2016, Tilenni Scaglione, Rv. 2686201).

Detto potere d’ufficio del magistrato fa da corollario alla natura flessibile del procedimento di ammissione al gratuito patrocinio ed alla sua funzione solidaristica per assicurare la difesa dei non abbienti (sollevandoli dall’onere di dover provare di non avere redditi sufficienti), ha lo scopo di assicurare l’accertamento anche in ipotesi di documentazione mancante o insufficiente e si estende anche al giudizio di opposizione al rigetto.

La Corte, quindi, nel rinviare gli atti al Presidente del tribunale di Pescara per un nuovo esame, conclude affermando quanto segue: “il rigetto dell’istanza di ammissione al gratuito patrocinio fondata sulla mera affermazione secondo la quale l’autodichiarazione dell’assenza di reddito è di per sé potenziale inganno, viola le disposizioni di cui alla lettera c) dell’art. 79 T.U. Spese di giustizia, anche avuto riguardo all’esercizio dei poteri di accertamento assicurati al giudice dell’ammissione ed a quello di opposizione al rigetto, che implicano una presunzione di impossidenza dell’istante che presenti autocertificazione del reddito, vincibile con l’esercizio dei poteri di accertamento assicurati al giudice dall’art. 79 e dall’art. 96, comma 2^ T.U. spese di giustizia, il cui esercizio è nondimeno, imposto al medesimo ai fini della giustificazione del rigetto“.

Insomma, il giudice chiamato a decidere sulla richiesta di ammissione al gratuito patrocinio dovrà basare il suo giudizio non su di una mera presunzione di ingannevolezza della dichiarazione di assenza di redditi, ma su di una presunzione di veridicità della dichiarazione dell’istante, che potrà essere vinta solo con l’esercizio dei poteri di accertamento concessi dalla legge al magistrato, il cui esercizio è imposto al medesimo per giustificare un eventuale rigetto.


  1. Bisognerebbe, infatti, sempre indicare, nell’istanza, i possibili aiuti ricevuti da terzi, anche a titolo di “prestito” o per beneficienza, o, addirittura, quando si tratta di profitti derivanti da fatto illecito, se non gia’ sottoposti a sequestro o a confisca penale (cfr. art. 14, comma 4, della Legge 24 dicembre 1993, n. 537).

 

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